Arte e mestieri
Ultima modifica 10 marzo 2020
La Natura ha un ruolo fondamentale nell'economia di questo bel paese ai piedi della Majella. Le risorse naturali dei pascoli montani e di quello che la montagna poteva offrire direttamente cioè “la pietra”, nuda e cruda, ha rappresentato in passato e rappresenta tutto sommato anche oggi l'economia preponderante del paese, unita anche, a quella del turismo che sfrutta proprio la natura come attrattiva.
All'interno di questo ambiente naturale privilegiato e ricco di risorse, l'uomo sin dall’antichità, dapprima con l'utilizzo della pietra per realizzare strumenti per la caccia (Paleolitico), poi per la costruzione di capanne in pietra a secco (tholos) per ripararsi, ed infine con la lavorazione della pietra per le costruzioni, ha saputo sfruttare sapientemente questo materiale traendo da esso materia prima per vivere.
Intorno all’anno 1000, nella zona compresa tra Serramonacesca e Tocco da Casauria si stabilirono i benedettini. Probabilmente per la costruzione di queste grosse Abbazie giunsero esperti scultori da altre regioni, come la Toscana e anche da paesi d’oltralpe come quelli della scuola monastica Cluniacense o i Cistercensi.
L’artigianato si sviluppò a tutti gli effetti come attività prevalente già dal XVI secolo, quando con il rifiorire dell'industria armentizia nell'italia meridionale, si sviluppò nuova ricchezza e prese piede il mestiere dello scalpellino.
Il paese di Lettomanoppello oggi è noto come il “Paese degli scalpellini” e tra il 1800 e il 1900 fu definito dai paesi limitrofi “Piccola Carrara”. L’importanza di questa località è legata strettamente alla lavorazione della pietra bianca e nera della Majella, destinata all’edilizia decorativa e all’arredamento, che in questi luoghi si presenta come elemento costrut-tivo molto usato e quindi fortemente caratterizzante.
Oggi questa pietra viene usata nella costruzione delle case in genere, oltre che per la realizzazione di artistici caminetti, capitelli, rosoni, sculture e figure varie, secondo la vecchia tradizione e, ovviamente, l'estro del maestro.
Fino al secolo scorso questo mestiere assorbiva otre 1000 unità, tra addetti alle cave, sgrossatori e rifinitori. Le donne erano impegnate, come riferiscono le nonne, a trasportare sul capo canestre di pietra semilavorate dalla montagna ai diversi laboratori del paese.
Nel 1933, per incentivare quest’attività fu costruita, con l’aiuto del governo, una strada, affinché fosse facilitato il trasporto dei blocchi di pietra. In questo periodo fiorente, gli scalpellini, lavoravano nei diversi paesi dell’Abruzzo, costruendo e restaurando numerosi palazzi, monumenti e Chiese come il Castello di Celano, S. Maria d’Arabona, S.Clemente a Casauria, Collemaggio L’Aquila, San Liberatore a Majella, Chiostro e facciata Cattedrale di Atri, Palazzo storico di
Tagliacozzo, Palazzo storico di Pescocostanzo, Castello di Capestrano, Castello di Bussi, Villa Clerici Pescara, Portale e rosone del Volto Santo a Manoppello, il Grand Hotel a Pescara, la Chiesa di San Francesco ad Atri, la Fontana 99 cannelle a L’Aquila e il Castello di Perano.
Dopo la seconda guerra mondiale a causa dell’interruzione di tutte le costruzioni e dei restauri, pochi artigiani continuarono a lavorare la pietra; la crisi economica interessò tutta l’Italia e molti lavoratori, tra i quali molti lettesi, furono costretti ad emigrare in Belgio dove trovarono lavoro nelle miniere.
Purtroppo nel 1956, a Marcinelle (Belgio) in un tragico incidente nelle miniere, morirono otto operai provenienti da Lettomanoppello. In seguito, ridotti a pochi elementi, gli artigiani scalpellini, riuscirono a mantenere viva la tradizione di questo mestiere e a tramandarne i segreti fino ad oggi. Con la ripresa delle attività legate al recupero edilizio, ai restauri di centri storici e ai lavori di decorazione artistica, gli scalpellini operano ancora, e rappresentano la laboriosità e l'ingegnosità dei suoi abitanti.
Lungo la strada che va verso Passolanciano s’intravedono, sparsi nel territorio, i vari luoghi d’escavazione, le piccole cave oggi per la maggiorparte chiuse. Quella situata a Costa dell’Avignone sta per essere riaperta con un progetto dell’Amministrazione comunale.
Ultimamente una parte del centro è stato ripavimentato con la pietra scura locale, prova del ritorno all’uso di materiali tradizionali.
Ogni anno in paese si promuovono e organizzano attività culturali inerenti l’uso artigianale della pietra della Majella, tra cui la già citata manifestazione “Dieci giornate in pietra”, dove attraverso incontri internazionali sulla pietra locale, con esposizioni, laboratori all’aperto e dibattiti, si è voluto divulgare l’importanza vitale dell’eredità degli antichi mestieri artigianali che da quasi 2000 anni ruotano attorno ad un bene prezioso donatoci dalla montagna. Qui a Lettomanoppello la pietra oltre ad essere cavata per essere trasformata in blocchi di pietra e poi in manufatti, veniva anche cavata per essere utilizzata come materia prima per la produzione di bitume. Lettomanoppello ha sempre avuto un posto nella storia per le caratteristiche del suo territorio ricco di minerali; già dal I secolo d.c. come attesta il ritrovamento di un panetto di bitume con bollo lineare recuperato presso contrada Pignatara, si estraeva il minerale.
La storia ci racconta che schiavi dell’Impero Romano di origine asiatica e africana furono impiegati nelle cave per l’estrazione di bitume di asfalto. La Repubblica di Amalfì, nel 1100 - 1200 si rifornì qui del bitume necessario per le proprie navi; a testimonianza sono state ritrovate monete della Repubblica di Amalfi nella zona della ex chiesa di santa Liberata.
Tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900 la ditta tedesca RHE&C iniziò uno sfruttamento industriale delle miniere d'asfalto qui a Lettomanoppello nella località Pilone.
Queste erano annoverate tra le meglio attrezzate e remunerate del Regno d'Italia, tanto da competere con le grandi fabbriche del Nord Europa. In quel periodo lavoravano nel distretto minerario circa 4000 persone con tre turni giornalieri. Negli anni ‘30 l'estrazione venne interrotta per la crisi economica nazionale e per la collocazione scomoda delle miniere: la roccia asfaltica veniva trasportata con teleferiche e trenini nello stabilimento di Scafa dove veniva raffinata; con parte del materiale venivano realizzate mattonelle cosiddette “di asfalto”, che fino a pochi anni fa incontravamo ancora lungo le strade.
La produzione poi riprese nel dopoguerra ma si fermò definitivamente alla metà degli anni ‘60.
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